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Filosofia del dubbio

"Il mondo è la mia rappresentazione” Schopenhauer

Sabbia scura, vulcanica. Onde che potenti si infrangono sul bagnasciuga dove sono seduto. Chi mi guarda da lontano vede un uomo intento a giocare con la fanghiglia come un bambino e non sa che, in realtà, la mia mente divaga su ben altri lidi. Sarà lo scenario idillico, sarà il caldo che mi dà alla testa, ma vengo inondato da un insieme di pensieri incredibilmente florido, sui quali rifletto, con le mani placidamente affogate nella sabbia.

Tutto ad un tratto arriva mia figlia Elena, che mi risveglia per un attimo dal limbo meditativo in cui mi trovo, e decido di renderla complice delle mie riflessioni.

-Elena - chiedo - Secondo te è giusto supportare i dubbi alla mia età?-

-Certo babbo, i dubbi fanno crescere, me lo hai insegnato tu: non bisogna mai smettere di mettersi in discussione e tramite l'esercizio del dubbio possiamo costantemente auto-migliorarci. Lo dicevano anche gli antichi!-

-Si, ma...- mi affretto ad aggiungere, per scongiurare una delle sue interminabili divagazioni da liceale – in terapia,  dico: nell'eventualità di trovarsi in presenza di un caso irrisolto, è utile mettere in discussione alcuni passi fondamentali del percorso che hai compiuto?

Bah , non saprei: tu perché fai questo lavoro?-

-Perché mi piace fare un lavoro che mi piace.-

-E il tuo obiettivo non è fare ricerca?

-Solo per il dieci per cento. Cosa che, per altro , conferma quello che già conosco bene: il mio metodo di lavoro funziona alla grande. Sai, Elena – aggiungo- a questo punto della mia carriera credo di aver raggiunto uno status per cui la gran parte delle persone che vengono da me ritengono di essere state soddisfatte , o per il beneficio fisico ottenuto , oppure anche solo per il modo in cui sono stati trattati, ossia per la relazione terapeutica che si è instaurata.-

Giunto dunque al punto focale della riflessione, tolgo le mani dal covo sabbioso e mi concentro sul dubbio che voglio esprimere:

-Vale la pena allora – le chiedo - studiare da capo, rivedere, correggere, integrare un modus operandi già testato per ottenere una percentuale di successo maggiore di appena qualche punto? -

Dopodiché affondo nuovamente le mani nella paciuga, soddisfatto di aver così formulato la questione.

-Non saprei.. - risponde mia figlia, palesemente più attratta dalle onde che dalla mia domanda.

-Senza contare che i primi tempi - aggiungo io- dovendomi occupare dello studio, revisione e correzione del mio metodo, avrei sicuramente un peggioramento dei miei outcome! Inoltre, credo che tutte le metodiche terapeutiche siano incomplete, poiché troppo grande è la complessità del corpo umano.

-Questo è vero - acconsente Elena- infatti i fisioterapisti agiscono spesso solo su una concezione meccanicistica, quando ci sono molti altri aspetti importanti, come la psiche, per esempio.-

-Giusto! -aggiungo io entusiasta- Per me gli approcci terapeutici sono come le religioni: ognuno è un percorso che, a suo modo, porta alla Verità Assoluta, e nessuno la detiene completamente. In quest'ottica, dunque, non esistono percorsi più o meno validi in assoluto, bensì percorsi migliori per ciascuno di noi. Ognuno ha il proprio.

- Quindi tu non vuoi essere una sorta di guru della fisioterapia, il mentore che detiene la Verità..?

-No, io vorrei essere colui che accompagna il paziente nel percorso di guarigione migliore per lui. É per quello che dirigo le mie attenzioni verso la personalizzazione della cura, perché so bene quanto il mio interagire sulle persone sia suscettibile di enormi variabili. Per questo, prima ancora di dare il mio contributo a chi si rivolge a me, sono io a chiedere a lui.

- Giusto! Mi piace questa visione olistica del paziente. Sai, riguardo il dubbio di prima, io credo che se sei convinto della validità del tuo metodo, esso acquisti sicuramente maggiore successo. Ricordati, Schopenhauer dice che "Il mondo è una nostra rappresentazione". La realtà non è oggettiva, ma viene sempre influenzata dal nostro punto di vista.

-Il soggetto influenza l'oggetto, lo dice anche la fisica quantistica.- ribadisco io.

- Esattamente. Noi vediamo il mondo attraverso la nostra volontà, che agisce come una sorta di filtro. I filosofi parlano addirittura di un velo che oscura il mondo, e lo chiamano “Velo di Maya”. Ognuno vede il mondo attraverso il proprio velo di Maya, quindi non possiamo mai arrivare a verità assolute, ma solo a verità soggettive. E’ per questo che Schopenhauer dice che “la vita non è altro che un pendolo che oscilla tra il dolore e la noia”.

- E per quale motivo dovremmo pensarla così? – incalzo io, non comprendendo il motivo di quella visione pessimistica.

- Perché non c’è niente di veramente autentico in ciò che conosciamo, tutto è ammantato da quella patina illusoria che dipende dalla nostra volontà. In realtà, questo è solo uno dei modi per reagire a questa consapevolezza. Schopenhauer, o Leopardi, scelgono la via del pessimismo. A me piace invece pensarla come Nietzsche, che riprende la teoria di Schopenhauer ma la interpreta in senso positivo. L’ideale di uomo formulato da Nietzsche, il Superuomo, è proprio colui che, di fronte al fatto che il mondo è una nostra rappresentazione, trae vantaggio da questa visione e si sente libero di decidere di se stesso, assecondando la propria voce interiore. Immaginando di trasportare tutto nell’ ambito della terapia, si potrebbe affermare che non esiste una terapia univoca e valida per tutti. Quello che per te va bene, per un altro potrebbe non essere così. Ecco, di fronte a questa consapevolezza, uno come Schopenhauer si scoraggerebbe e forse smetterebbe anche di fare terapia. Uno comeNietzsche si sentirebbe libero di proseguire per la strada del metodo da lui scelto e ritenuto migliore.-

- Bellissimo- affermo io entusiasta – Farò sicuramente tesoro di questo, e lo integrerò con ciò che già so. La scienza e il rigore scientifico servono proprio a questo: a distinguere ciò che è utile da ciò che è aleatorio: distinguono il professionista sanitario dal ciarlatano. A me piace immaginare che la struttura della mia professione sia simile a quella di un' autovettura. La scienza rappresenta l'affidabilità, la struttura portante di un atto terapeutico. Essa però non è tutto. Oltre a questo, esistono altri fattori che inducono il compratore ad acquistare la macchina , come il comfort, o le prestazioni, o semplicemente la visione di  un bel cruscotto o il suono di una portiera che si chiude e un buon venditore è capace di cogliere ed offrire anche queste cose.

- Ottimo paragone – osserva Elena.

- Ritornando quindi al dubbio iniziale, - replico io -considerando i costi di un grosso cambiamento metodologico, conviene forse supportare e verificare i propri dubbi? Cosa fa la differenza, aderire pedissequamente ad una metodica pur sapendo che si e´incompleti ("Se non ritornerete come bambini non entrerete mai" -Matteo 18,3) oppure prendere solo il meglio delle varie terapie per un "minestrone new age" che perde quella coerenza necessaria al conseguimento dell’obiettivo finale? –

-Non so babbo...andiamo a fare il bagno?

-Andiamo, che oggi ci sono onde magnifiche!

Che tipo di Terapista sei?

Pensi di essere un buon terapista, ma sei sicuro che anche i tuoi pazienti pensino lo stesso?

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